Monsoni: relazioni con il clima del Mediterraneo

Inanzitutto si deve comunque prendere in considerazione il fatto che i monsoni sono il risultato di differenze termiche tra oceani e continenti, ma allo stesso tempo sono anche il risultato delle calme equatoriali che variano di posizione tra l’inverno e l’estate di alcuni gradi di latitudine assieme a tutto il resto della circolazione atmosferica divisibile a celle (cella Polare; di Ferrel e di Hadley).
Durante le mezze stagioni le calme equatoriali coincidono pressapoco con l’equatore, mentre durante l’estate Boreale si spostano di alcuni gradi (circa 5) verso nord invadendo le aree soggette appunto ai monsoni, in questo modo le piogge torrenziali sono favorite.
Viciversa succede durante l’inverno Boreale le calme equatoriali si trovano a circa 5° di latitudine d, non coinvolgendo le aree del d Est Asiatico.
Possiamo dire che dunque i monsoni sono il risultato di entrambi i processi stagionali.
Anche secondo me un aumento delle temperature globali, potrebbe piuttosto produrre un’intensificazione dei monsoni, non un’indebolimento con conseguente siccità per le aree interessate, ma questo lo possiamo constatare dai molti studi fatti che cercano di spiegare il clima durante le glaciazioni.
Le piogge tropicali, diversamente dalle piogge delle medie latitudini che sono il risultato di forti contrasti termici, sono il risultato dell’energia termica presente che più è evidente, più da forza alle piogge monsoniche.

Prevedere i monsoni in India

Stabilito un legame tra siccità e temperature dell’Oceano.
Tradizionalmente l’agricoltura indiana dipende dai monsoni, non poteva quindi che essere salutata con favore la notizia che la capacità di prevederli è migliorata, seppur di poco, grazie a una ricerca pubblicata sulla rivista “Science”. Dalle registrazioni storiche è risultato che in più di 130 anni i periodi di siccità sono sempre stati collegati a eventi di tipo El Niño, un fenomeno che è indice di un’alta temperatura del Pacifico tropicale. In tale situazione si ha una variazione nell’evaporazione marina e nei venti che generalmente producono in India una stagione estiva di piogge relativamente poco intense. Così, una misura delle temperatura dell’Oceano Pacifico può essere utilizzata per prevedere in prima approssimazione i periodi più secchi. Ma le cose non sono così semplici: negli ultimi 30 anni il riscaldamento del mare ha prodotto precipitazioni di intensità variabile. Nel 1997, per esempio, si è verificato il più intenso El Niño del secolo, che tuttavia non ha influito molto sui monsoni indiani; viceversa nel 2002 a un El Niño moderato è seguita una forte siccità. “L’attuale capacità di prevedere i monsoni è limitata” ha comentato Martin Hoerling della National Oceanic and Atmospheric Administration (NOAA) degli Stati Uniti che ha sede a Boulder, in Colorado, coautore dell’articolo. “Sfugge al controllo circa il 90 per cento della variabilità di questi eventi atmosferici. Il problema è che gli eventi El Niño possono avere differenti “sapori”: alcuni riscaldano l’acqua più nella parte centro-occidentale del Pacifico, altri più nella parte orientale.” L’analisi mostra come negli anni recenti sia stato il primo tipo ad aver prodotto la peggiore siccità: tale distinzione era sfuggita finora, e per questo motivo non è stato possibile prevedere le siccità drammatiche del 2002 e del 2004.

Un modello per prevedere El Niño:
Un nuovo modello climatico è in grado di descrivere con precisione gli ultimi 24 eventi di El Niño con due anni di anticipo APPROFONDIMENTIIl clima del Pacifico del Nord
Alcuni ricercatori hanno creato un modello climatico che si è mostrato in grado di prevedere con successo, a posteriori, gli ultimi 24 eventi di El Niño con due anni di anticipo. Si tratta di un grande miglioramento rispetto ai modelli precedenti, che riuscivano a prevedere i disturbi climatici del Pacifico soltanto sei-nove mesi prima. Secondo Vernon Kousky della National Oceanic and Atmospheric Administration (NOAA), i risultati potrebbero condurre a migliori previsioni delle condizioni atmosferiche anomali causate da El Niño, fornendo così più tempo per prepararsi alle inondazioni, alle siccità, alle ondate di calore e a tutti gli effetti che ne conseguono. Gli eventi di El Niño si verificano una volta ogni 3-7 anni, quando la superficie del mare sul lato sudamericano del Pacifico tropicale si riscalda notevolmente e il ciclo di calore e umidità si modifica in tutto l’oceano. Sin dalla metà degli anni ottanta, per prevedere questi fenomeni è stato un modello al computer sviluppato alla Columbia University. In un articolo pubblicato sulla rivista “Nature”, Dake Chen e colleghi spiegano ora di aver migliorato il modello. Chen ha messo alla prova il nuovo modello inserendovi i dati delle temperature superficiali dell’oceano dal 1856 al 2003. Il programma è riuscito a prevedere con successo il clima del Pacifico tropicale con due anni di anticipo, simulando tutti i 24 eventi di El Niño dal 1856 a oggi.

Un passo avanti nella previsione dei monsoni:
Potrebbe aiutare a limitare i danni delle catastrofiche inondazioni che flagellano il d-Est asiatico Il dramma di un contadino cinese durante le inondazioni dello Yangtze dello scorso anno. I nuovi risultati prodotti dal South China Sea Monsoon Experiment (SCSMEX) lasciano sperare che presto sarà possibile prevedere l’arrivo e l’entità delle piogge del monsone estivo, permettendo di aiutare la popolazione a pianificare eventuali evacuazioni, e dunque di risparmiare vite umane, animali da allevamento e di ridurre l’impatto delle inondazioni sui terreni e sulle abitazioni. I ricercatori impegnati in questa campagna scientifica internazionale hanno scoperto indizi in grado di rivelare i tempi e l’evoluzione del monsone estivo dell’Asia orientale, trovando relazioni tra la disastrosa inondazione dello Yangtze Kiang dello scorso anno e la violenza del monsone estivo. «Nel 1998 – afferma William Lau, ricercatore al NASA Goddard Space Flight Center di Greenbelt e uno dei responsabili del SCSMEX – il monsone del Mar Cinese Meridionale arrivò in ritardo, e con intensità minore del solito, il che poteva mettere sull’avviso riguardo alle forti piogge che hanno poi colpito la Cina meridionale e alle devastanti inondazioni che ne seguirono.» L’inondazione dello Yangtze provocò più di 3700 vittime, e i danni materiali sono stati stimati in 30 miliardi di dollari (circa 37.000 miliardi di lire). Il gruppo di ricerca del progetto SCSMEX ha scoperto che l’arrivo del monsone estivo può essere previsto basandosi sulle alterazioni dei venti che solcano l’Oceano Indiano e il Mar Cinese Meridionale. Secondo Lau, prima dell’arrivo del monsone estivo l’attività ciclonica sull’Oceano Indiano si intensifica, con la formazione di una coppia di cicloni, un fenomeno individuato circa dieci anni fa e che ogni primaverafa la sua comparsa, con intensità variabile. Gli esperimenti condotti nel 1998 nell’ambito del progetto SCSMEX hanno per la prima volta confermato che questo sistema ciclonico può essere messo in relazione con la stagione dei monsoni. I cicloni, ciascuno dei quali ha dimensioni pari a quattro volte la superficie dell’Italia, si muovono verso Est a cavallo dell’Equatore. Pochi giorni prima che il monsone estivo abbia inizio, i due cicloni si separano; quello dell’emisfero meridionale si spegne, mentre quello dell’emisfero settentrionale si muove verso Nord e si trasforma in monsone nel Golfo del Bengala. Usando le informazioni fornite dai satelliti, Lau ha in programma l’osservazione dei due cicloni anche quest’anno, e spera di poterne vedere la separazione in modo da comprendere quando avrà inizio il monsone e quale sarà la sua intensità. Poter prevedere esattamente la data d’inizio del monsone estivo potrà avere risvolti di grande importanza sulle coltivazioni, sull’amministrazione delle acque fluviali e sulla pianificazione delle evacuazioni in caso di inondazione.

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Il monsone africano protagonista del clima
Attraverso l’analisi delle variabili atmosferiche e dei dati di precipitazione, si riscontra, durante la stagione estiva, una significativa correlazione positiva tra l’intensità del monsone dell’Africa Occidentale e la temperatura dell’aria nel bacino del Mediterraneo.
Un monsone intenso rafforza la circolazione meridiana di Hadley, con conseguente rafforzamento dell’anticiclone del nord Atlantico e blocco del flusso occidentale verso il Mediterraneo.
Una maggiore penetrazione del monsone nel continente produce uno spostamento verso nord dell’anticiclone Libico che arriva a invadere il Mediterraneo occidentale portando subsidenza e condizioni di stabilità.
Questa ricerca è orientata a individuare segnali remotiche rendano possibile diagnosticare l’occorrenza delle ondate di calore che negli ultimi decenni hanno colpito frequentemente l’area Euro-Mediterranea.

L’emisfero sud mostra un andamento più stabile durante l’anno.
La stima delle dimensioni della cella di Hadley si presenta difficoltosa a causa della presenza dei monsoni estiviche rendono più complessa la struttura dellacircolazione.
Il profilo meridiano di velocità verticale ha una estensione di circa 15°, con tre massimi chiaramente separabili, che identificano le regioni monsoniche.
La correlazione tra il WAM e il clima estivo del Mediterraneo. La variabile scelta per rappresentare l’intensità del WAM è la precipitazione nella regione del dan-Sahel, accumulata tra Luglio e Settembre, il trimestre nel quale il monsone èpienamente efficiente.
Le variabili scelte perrappresentare il clima estivo Mediterraneosono la temperatura a 850 hPa e il geopotenziale a 500 hPa, mediate nei mesi di Luglio eAgosto, i mesi nei quali si concentrano il maggior numero di ondate di calore, il periodo analizzato è compresotra il 1979 e il 2005.
Si osservano alti valori del coefficiente di correlazione su tutta la zona dell’anticiclone subtropicale nord Atlantico, con interessamento del Mediterraneo occidentale.

Il segnale sul Mediterraneo orientale può essere interpretato come l’impronta della sorgente monsonica del subcontinente Indiano.
La correlazione tra il campo di temperatura e la pioggia monsonica è elevata in corrispondenzadel bacino Mediterraneo ed all’interno delle aree ad alta significatività si osservano due massimi.
Il massimo localizzato sul bacino orientale è generato dalla subsidenza dovuta, molto presumibilmente, all’effetto del monsone Asiatico.
Il massimo localizzato sul bacino occidentale è generato dalla subsidenza dovuta all’anticiclone Libico rinforzato e spostato verso nord dall’intensificarsi della circolazione meridiana di Hadley, diretta conseguenza dell’azione del WAM.
La correlazione tra la temperatura mediata sull’intero bacino delMediterraneo e la pioggia monsonica è r =0,65, valore significativo al 95%. Ripetendo lo stesso calcolo, ma per la temperatura mediata solo sul Mediterraneo occidentale, il coefficiente di correlazione rimane relativamentealto (r = 0,61) e significativo. Prendendo in esame solo gli anni in cui ilmonsone Africano è stato particolarmenteintenso, ovvero, quegli anni in cui l’anomaliapositiva della pioggia cumulata ha superato ladeviazione standard, ed eseguendo la media composita, si osserva, sul Mediterraneo neimesi di Luglio e Agosto, una anomalia positiva di temperatura di circa 1°C.

Dell’andamento della circolazione di Hadley e dell’ITCZ sull’Africa e sull’Europa, regioni dove sono presenti grandi masse continentali, mostra variazioni stagionali moltomarcate.
Le interazioni terramare, all’origine del clima monsonico, producono grandi distorsioni nella usuale configurazione a celle proprio in estate, quando l’effetto del monsone è più intenso.
I risultati delle analisi di correlazione e delle medie composite mostrano che l’ipotesi diuna connessione tra il WAM e il clima estivo del Mediterraneo non solo è ampiamente fondata ma, soprattutto, mostrano che la connessione tra monsone intenso e anomalie positive di temperatura sul Mediterraneo (con la possibilità di avere ondate di calore) è indiscussa.
Il meccanismo proposto per spiegare la dinamica di questa connessione si articola su unaregione ampia.
Il fenomeno monsonico in Africa Occidentale produce come primo effetto il rafforzamento dell’anticiclone subtropicale sul nord Atlantico, con la conseguente deviazione del flusso occidentale verso le regioni del nord Europa e la permanenza di condizioni di stabilità sul Mediterraneo.
Un monsone forte intensifica la circolazione meridiana di Hadley cheha il suo ramo discendente sul Nord Africa,ampliando l’estensione della cella convettiva.
I venti orientali che incontrano l’orografia deimassicci dell’Atlante e dell’Ahaggar producono un dipolo alta bassa pressione, in cui il polo di alta pressione è noto come anticiclone Libico.

La circolazione di Hadley agisce modulando l’intensità e la posizione dell’anticiclone Libico, che può arrivare a invadere il Mediterraneo occidentale, contribuendo amantenere condizioni di tempo stabile.
Al rafforzamento del polo di alta pressione corrisponde il rafforzamento del polo di bassa pressione localizzato sulla costa occidentale dell’Africa.
Questa circolazione ciclonica genera un flusso umido verso la zona monsonica del dan-Sahel.
Un feedback positivo è rappresentato dall’azione remota del monsone Asiatico che, attraverso l’alta pressione sul Mediterraneo orientale, intensifica il flusso dei venti tesi dal Mediterraneo verso l’Africa sub-Sahariana. L’incontro tra il flusso occidentale dall’oceano Atlantico e i flussi orientali provenienti dagli anticicloni presenti sul Mediterraneo rafforza il fronte intertropicale nella regione del dan-Sahel, favorendole piogge monsoniche.
Per la sua collocazione geografica, il clima del bacino del Mediterraneo è influenzato da diverse connessioni remote.
Il successivo sviluppo di questa ricerca è orientato a isolare e identificare i diversi segnali climatici che arrivano sul Mediterraneo determinandone il clima.
Lo studio delle tendenze a medio e lungo termine della circolazione meridiana di Hadley edell’ITCZ ricopre una posizione di grande importanza nell’ambito della comprensione dei cambiamenti climatici.
In particolare, il possibile intensificarsi dell’attività dell’ITCZ e il conseguente ampliamento della fascia tropicale, rappresenta un problema per i paesi del bacino del Mediterraneo, dato l’impatto che ne deriva in termini di siccità, desertificazionee maggiore frequenza di ondate di calore.

Il monsone africano e l’importanza per il clima globale.
L’inizio della stagione delle piogge nell’Africa sub-sahariana arriva improvvisa dopo lunghi mesi caldi e siccitosi.
Alla fine del mese di Giugno il motore a diesel dei tropici, la forte convezione che si genera nella zona di convergenza degli alisei, ha un sussulto e si sposta di 4-5° gradi più a nord, circa 500 km in pochi giorni.
Poi rimane lì paziente per altri due mesi circa, ma non inattivo, continuando a trasportare umidità dal golfo di Guinea nel continente Africano fornendo così energia alle perturbazioni tropicali, che seppure intense, forniscono l’elemento vitale per le popolazioni del Sahel, la pioggia.
La pioggia annuale e media in Niamey (Niger) è la stessa come per Bruxelles ma l’intero ammontare cade in solo 3 mesi. Coltivare è perciò solamente possibile durante questa stagione piovosa.

Contemporaneamente, nel deserto del Sahara si innesca un altro motore, più piccolo, moti ascendenti di aria calda e secca, siamo nel deserto ovviamente.
A questo punto abbiamo uno strano motore a due pistoni asimmetrici, uno più potente a sud che brucia aria umida che viene dal Golfo di Guinea, ed uno più piccolo a nord che brucia aria secca del deserto.
Il risultato finale è la produzione di una forte corrente a getto a circa 3-4 km di quota, con venti attorno ai 10-15 metri al secondo che si dirigono verso l’Atlantico.
Per comprendere l’importanza di questo fenomeno, basti pensare che questa corrente a getto produce perturbazioni atmosferiche che velocemente attraversano il continente Africano e vengono sparate sull’oceano Atlantico, divenendo cicloni tropicali e spesso trasformandosi in uragani.
La natura ha sviluppato un intricato alambicco per fabbricare uragani e lo ha collocato in Africa

Il continente Africano da un altro grande fondamentale contributo al clima globale, è, infatti, una delle principali sorgenti di aerosols naturali.
Le polveri Sahariane vengono immesse in atmosfera dal vento e trasportate verso i Tropici e verso le medie latitudini, in particolare il Mediterraneo.
Gli aerosols, come evidenziato dall’ultimo rapporto IPCC, contribuiscono significativamente al bilancio dei gas-serra, ma in termini spesso negativi.
Mentre, la CO2 e gli altri gas-serra incrementano le temperature aumentando la capacità dell’atmosfera di trattenere la radiazione irradiata dalla superficie terrestre, gli aerosols hanno un effetto raffreddante.
Gli aerosols assorbono e riemettono verso lo spazio parte della radiazione solare, impedendo a questa di raggiungere la superficie della Terra, ma gli aerosols sono anche i principali nuclei di condensazione per la formazione delle nubi, che a loro volta riflettono la radiazione solare.
Gli aerosols vengono studiati con particolare attenzione nell’area dell’Africa b-sahariana.

ENEA FIM-INFOUTE TITANO

Un’altro studio sui Monsoni per capirne l’influenza sul Mediterraneo

Il clima monsonico è una varietà climatica tipica del bcontinente indiano, del d-Est asiatico e della Cina meridionale. Da giugno a ottobre i monsoni, caldi e carichi di umidità, provengono dall’oceano Indiano soffiando da sud-ovest a nord-est: dal mare verso la terraferma. Nel loro percorso dei Ghati occidentali, dove sno una parte della loro umidità; attraversano il tavolato del Deccan e, infine, si scontrano con l’insormontabile massiccio himalayano, raffreddandosi e rovesciando enormi quantità di pioggia. La pianura del Gange e la zona del golfo del Bengala, che si trovano ai piedi dell’Himalaya, e soprattutto l’Assam sono pertanto tra le zone più piovose della Terra.

L’alternanza dei monsoni determina anche i ritmi dell’agricoltura e le rese dei singoli anni. Ritardi o anticipi di questi venti possono causare grandi siccità o disastrose alluvioni, che hanno speso compromesso i raccolti, portando nelle intera regione parecchie carestie.

Comprendere la dinamica del clima nell’area dei tropici, con la vaiabilità dei Monsoni, costituisce un nodo cruciale per gli studiosi che si occupano di mutamenti climatici in tutto il mondo, ma lo diventa a maggior ragione per chi fa ricerca sull’area orientale del Mediterraneo. Ne sono convinti gli esperti del Centro euromediterraneo per i cambiamenti climatici (Cmcc) con base all’Università di Lecce.
”Teniamo d’occhio i tropici – spiega Antonio Navarra, presidente del centro – perchè sono i motori della macchina climatica e hanno i loro effetti sulle nostre regioni. In particolare, in quell’area esiste la possibilità di prevedere da 6 a 9 mesi la variazione climatica, intesa come la variazione delle temperature marine superficiali, che influenzano poi le medie latitudini”.

Latitudini come le nostre, per le quali i tropici diventano ”uno dei principali campi di ricerca” precisa Navarra.
Proprio per questi motivi il presidente del Cmcc è in partenza per Tokyo, dove sono previsti diversi incontri di carattere scientifico. Il primo, che si svolgerà nell’ambito della collaborazione fra Giappone e Ue, vedrà appunto una sessione di lavori sul settore indo-pacifico, poi ci sarà un incontro ristretto a Italia e Giappone, che ”da anni cooperano negli studi” sottolinea Navarra.A seguire ci sarà un’altra riunione tra esperti a livello mondiale, organizzata invece dal Meteorological office inglese: ”L’impegno successivo sarà a Exeter – spiega ancora il presidente del Cmcc – dove verrà misurata l’affidabilità dei modelli di simulazione climatica attuali rispetto a quanto già avvenuto nel XX secolo”.

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 Macchie solari e piogge africane
Il prossimo picco è atteso per il 2011-2012: se lo schema è effettivamente quello stabilito dal nuovo studio di Stager e colleghi, il massimo nelle precipitazioni piovose dovrebbe verificarsi un anno prima.

Un nuovo studio rivela una correlazione tra abbondanza di macchie solari e periodi di intense piogge nell’Africa orientale.

L’insolito collegamento è stato riscontrato grazie a uno studio frutto della collaborazione tra ricercatori britannici e statunitensi e si è basato sull’analisi di dati riguardanti un arco temporale di un secolo. In particolare le abbondanti piogge sembrano precedere i massimi di attività solare. Poiché tali precipitazioni nella regione sono spesso causa di inondazioni e di epidemie, il risultato potrebbe essere utilizzato per predisporre in tempo misure di prevenzione delle conseguenze peggiori a carico delle popolazioni della zona.
“Con l’aiuto di questi risultati ora possiamo sapere in particolare quando le stagioni piovose sono più probabili”, ha spiegato il paleoclimatologo e coordinatore della ricerca Curt Stager, del Paul Smith’s College di New York, coautore dell’articolo apparso sulla rivista “Journal of Geophysical Research”.

L’incremento nel numero delle macchie solari indica un aumento dell’emissione di energia da parte del Sole e il picco di attività solare ha una ciclicità di 11 anni. Il prossimo picco è atteso per il 2011-2012. Se lo schema è effettivamente quello stabilito dal nuovo studio di Stager e colleghi, il massimo nelle precipitazioni piovose dovrebbe verificarsi un anno prima.

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