Esplorazione di Venere

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L’immagine sottostante è una rappresentazione della mappa topografica di Venere realizzata dalla sonda Magellano. La perenne densa coltre nuvolosa che ricopre tutta la sua superficie, impedisce certamente di osservare direttamente la sua superficie dallo spazio. Inoltre le proibitive condizioni atmosferiche al suolo di venere (contrariamente a marte), non consentono l’atterraggio di sonde in grado di effettuare fotografie.

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Le principali missioni:
Il 1 marzo 1966 la sonda Venera 3 fu la prima ad atterrare su un altro pianeta, anche se non fu un atterraggio morbido.
La capsula di discesa della sonda Venera 4 entrò nell’atmosfera venusiana il 18 ottobre 1967, e per la prima volta inviò misure dirette da un altro pianeta, tra cui temperatura, pressione, densità e 11 esperimenti chimici automatici per l’analisi dell’atmosfera. I primi dati mostrarono che l’atmosfera era composta per il 95% da anidride carbonica e che la pressione in superficie era molto più grande delle previsioni (da 75 a 100 atmosfere).

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Il giorno successivo, il 19 ottobre, fu la volta della sonda Mariner 5. Essa era stata progettata come sonda di riserva per la Mariner 4 inviata su Marte; quando quest’ultima ebbe successo, la Mariner 5 venne riadattata per una missione su Venere, ed equipaggiata con strumenti più sensibili di quelli della Mariner 2. I dati raccolti dalle sonde Mariner 5 e Venera 4 furono analizzati da un team scientifico Sovietico-Americano durante l’anno successivo, in un primo esempio di cooperazione nelle missioni spaziali.

Questi risultati vennero verificati e migliorati dalle sonde gemelle Venera 5 e Venera 6 il 16 maggio e il 17 maggio 1969, ma nessuna missione era ancora riuscita a trasmettere dati fino al raggiungimento della superficie: le batterie di Venera 4 si consumarono mentre era ancora nell’atmosfera (probabilmente a causa della alta densità atmosferica che rallentò molto la discesa con il paracadute) e le sonde Venera 5 e 6 furono distrutte dalla pressione ad una altezza di circa 18 km. Esse erano progettate per resistere ad una pressione di 25 atmosfere, contro le 75-100 presenti sul pianeta.

Il primo atterraggio con successo fu effettuato da Venera 7 il 15 dicembre 1970 (progettata per resistere fino a 180 bar), trasmettendo dati sulla temperatura per 23 minuti (da 455 °C a 475 °C) mentre Venera 8 atterrò il 22 luglio 1972, mostrando che le nubi del pianeta formavano uno strato che terminava 22 miglia sopra la superficie e analizzando la composizione chimica della crosta attraverso uno spettrometro a raggi gamma.
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Venera 9 e 10: la sonda Venera 9 entrò in orbita il 22 ottobre 1975 diventando il primo satellite artificiale di Venere. Una serie di camere e spettrometri inviarono a Terra informazioni sulle nubi, sulla ionosfera, magnetosfera ed effettuò misure radar della superficie.
Il veicolo di discesa (pesante 660 Kg) si separò dalla sonda e atterrò sul pianeta, scattando le prime foto della superficie e analizzando il terreno con uno spettrometro a raggi gamma e un densimetro. Durante la discesa vennero misurate la pressione e la temperatura, oltre a rilevazioni fotometriche e della densità delle nubi attraverso un nefelometro. Si scoprì che esse erano formate da tre strati distinti.

Pioneer: la NASA inviò su Venere due sonde Pioneer Venus, composte da due componenti lanciati separatamente: un orbiter e una multisonda. Quest’ultima trasportava tre piccole sonde atmosferiche e una sonda più grande, che venne lanciata il 16 novembre 1978 e fu seguita da quelle minori il 20 novembre. Esse entrarono nell’atmosfera venusiana il 9 dicembre, seguite dal veicolo che le trasportava. Anche se non era previsto che sopravvivessero alla discesa, esse continuarono ad operare per 45 minuti dopo aver raggiunto il suolo. L’orbiter venne inserito in un orbita ellittica attorno al pianeta il 4 dicembre 1978 ed eseguì 17 esperimenti, operando fino all’esaurimento del carburante usato per mantenere l’orbita. La sonda venne distrutta dal rientro nell’atmosfera nell’Agosto 1992.

Magellano: il 10 agosto 1990 la Sonda Magellano si inserì in orbita attorno a Venere e iniziò una dettagliata mappatura radar. Venne mappato il 98% della superficie con una risoluzione di circa 100m e il 95% del campo gravitazionale . Dopo quattro anni di attività, come pianificato, la sonda affondò nell’atmosfera l’11 ottobre 1994 e fu parzialmente vaporizzata. Si pensa che qualche frammento possa aver raggiunto il terreno.

Missioni attuali e future: La sonda Venus Express dell’ESA sta studiando dettagliatamente il pianeta dalla sua orbita polare, in cui si è inserita con successo l’11 aprile 2006. La missione di mappatura ha una durata prevista di due anni venusiani (circa 500 giorni). I primi risultati della missione comprendono la scoperta di un enorme vortice polare doppio al polo sud di Venere.
Futuri flyby di missioni destinate altrove comprendono le missioni Messenger e BepiColombo (dirette su Mercurio).

Fonte di ricerca: Pagina principale – Wikipedia

Vita su venere?


Nonostante le condizioni proibitive il pianeta potrebbe ospitare molti batteri
Gli esobiologi hanno immaginato forme di vita adatte quasi a tutti i corpi del sistema solare, ma non hanno mai preso in considerazione Venere. In effetti, la sua atmosfera velenosa di anidride carbonica e acido solforico e l’effetto serra, che mantiene una temperatura superficiale sufficiente a fondere il piombo, non lo rendono un pianeta particolarmente ospitale. Secondo Dirk Shulze-Makuch e Luis Irwing, dell’Università del Texas, l’atmosfera di Venere è invece relativamente abitabile e potrebbe ospitare un grande numero di batteri. “Dal punto di vista dell’astrobiologia, Venere non è senza speranza,” dicono i ricercatori, che hanno pubblicato i loro risultati sulla rivista “New Scientist”. La presenza dei batteri sarebbe in grado di spiegare alcune peculiarità della composizione chimica dell’atmosfera venusiana. Usando i dati delle missioni spaziali russe Venera e delle sonde statunitensi Pioneer Venus e Magellan, i ricercatori hanno studiato l’alta concentrazione di goccioline di acqua nelle nuvole di Venere. In questo modo è stato possibile individuare alcune peculiarità che potrebbero essere facilmente spiegabili con la presenza di microbi. Per esempio, si sono viste tracce di solfuro di idrogeno e di biossido di zolfo, due gas che reagiscono l’uno con l’altro e che non possono coesistere se non vengono continuamente prodotti. Inoltre, nonostante l’alta irradiazione solare e i frequenti lampi, l’atmosfera di Venere non contiene quasi monossido di carbonio, suggerendo che qualche cosa lo stia rimuovendo. I ricercatori hanno suggerito quindi nelle nuvole venusiane potrebbero essere al lavoro batteri che combinano il biossido di zolfo con monossido di carbonio in un metabolismo simile a quello delle forme di vita terrestri più primitive. La nuova teoria è stata però accolta con grande scetticismo dalla maggior parte dei ricercatori. Un primo elemento a sfavore è il fatto che le goccioline di acqua in sospensione non sembrano essere sufficienti a sostenere la vita.

Occhi puntati su Venere:
I due più grandi radiotelescopi del mondo studiano Venere.
I due più grandi radiotelescopi del mondo hanno unito le loro forze per scrutare sotto la perenne copertura nuvolosa di Venere per rivelare nuovi dettagli della superficie del pianeta. Gli impulsi radio sono stati trasmessi dal radiotelescopio di Arecibo, a Puerto Rico, sono stati riflessi da Venere e poi sono stati ricevuti di nuovo da Arecibo e dal nuovo radiotelescopio di Green Bank, nella Virginia Occidentale. Il radiotelescopio di Green Bank, anche se è più piccolo di quello di Arecibo, ha il vantaggio di essere completamente orientabile. Il radiotelescopio di Arecibo è stato infatti costruito in un’antica caldera vulcanica ed è in grado di osservare solo verso lo Zenit. Solo i radar possono vedere che cosa si trova sotto le brillanti nuvole che coprono permanentemente la superficie del pianeta. Proprio per questo la NASA mandò dieci anni fa verso Venere la sonda Magellano che, dotata di radar, riprese immagini dell’intera superficie. Da allora, queste sono le prime immagini di Venere mai ottenute e hanno una risoluzione di un chilometro, paragonabile a quella della sonda. Disporre di immagini del pianeta con relativa frequenza permetterebbe di scoprire se, come molti sospettano, si tratta di un corpo geologicamente attivo, dotato di attività vulcanica e altri processi che possono modificarne la superficie. Secondo gli astronomi, la combinazione di questi due radiotelescopi costituisce uno strumento insostituibile per studiare non solo Venere, ma anche altri oggetti del sistema solare. Con questi due radiotelescopi si potranno infatti riprendere immagini di minuscoli asteroidi, del diametro di pochi metri, che a volte sfiorano la Terra lungo la loro orbita, e di cui gli astronomi sanno poco o niente.

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